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LA MARCHESA DI O... di Heinrich von Kleist

A M..., un'importante città dell'Alta Italia, la vedova del marchese

di O..., signora di eccellente reputazione, madre di fanciulli ben

educati, rese noto, attraverso i giornali, che si trovava, senza

sapere come, incinta, e che, se il padre del bambino che stava per

dare alla luce si fosse presentato, lei, per ragioni di famiglia, era

decisa a sposarlo. La signora che faceva con tanta sicurezza un passo

così strano, destinato a suscitare lo scherno del mondo, era la figlia

del signore di G..., comandante della cittadella nei pressi di M...

Circa tre anni prima, aveva perso il marito, il marchese di O..., al

quale era legata dal più intenso e tenero affetto, durante un viaggio

a Parigi che egli aveva compiuto per affari di famiglia. Per desiderio

della madre, la degna signora di G..., aveva lasciato, dopo la morte

di lui, la tenuta presso V..., dove aveva fino ad allora abitato, ed

era tornata, con i suoi due figli, nella casa del padre, presso il

comando della fortezza. Qui aveva condotto, negli anni successivi, una

vita estremamente ritirata, dedicandosi all'arte, alla lettura,

all'educazione dei figli e alla cura dei genitori: finché la guerra di

... riempì improvvisamente la regione degli eserciti di quasi tutte le

potenze, compresa la Russia.

Il colonnello di G..., che aveva ordine di difendere la cittadella,

chiese alla moglie e alla figlia di ritirarsi nella tenuta di

quest'ultima, o in quella del figlio di lui, che si trovava presso

V... Ma, prima che la valutazione, qui dei pericoli ai quali potevano

essere esposte nella fortezza, là degli orrori nei quali potevano

incorrere in aperta campagna, fosse stata soppesata e decisa sulla

bilancia della riflessione femminile, la cittadella era già presa

d'assalto dalle truppe russe, e invitata alla resa. Il colonnello

dichiarò, nei confronti della sua famiglia, che ormai si sarebbe

comportato come se non ci fosse; e rispose con palle e granate. Il

nemico, da parte sua, bombardò la cittadella. Diede fuoco ai

magazzini, espugnò un baluardo esterno, e, quando il comandante, a una

nuova intimazione, esitò ad arrendersi ordinò un attacco notturno ed

espugnò d'assalto la fortezza.

Proprio mentre le truppe russe, sotto un violento tiro di obici,

irrompevano dall'esterno, l'ala sinistra dell'abitazione del

comandante prese fuoco, costringendo le donne ad abbandonarla La

moglie del colonnello, correndo dietro alla figlia, che scendeva la

scala a precipizio con i bambini, gridò che dovevano restare unite e

rifugiarsi nelle cantine; ma una granata che, proprio in quel momento,

scoppiò nella casa vi portò all'apice e vi rese totale la confusione.

La marchesa arrivò, con i due bambini, sul piazzale davanti

all'edificio, dove gli spari che già lampeggiavano nella notte e la

mischia violentissima la ricacciarono, incapace di riflettere dove

fuggire, nella casa in fiamme.

Qui, sfortunatamente, proprio mentre stava per sgusciare attraverso la

porta posteriore, si imbatté in un manipolo di fucilieri nemici, che,

vedendola, si fermarono di colpo, si gettarono i fucili in spalla, e,

con gesti osceni, la trascinarono con sé. Inutilmente la marchesa,

strattonata qua e là dall'orribile banda, che se la strappava di mano,

chiamò in aiuto le sue domestiche tremanti, che fuggivano dal portone.

La trascinarono nel cortile posteriore, dove, barbaramente malmenata,

stava per cadere al suolo quando, richiamato dalle grida acute della

donna, apparve un ufficiale russo, che disperse con furibonde

sciabolate quei cani avidi di violenza. Alla marchesa sembrò un angelo

del cielo. All'ultimo bestiale ribaldo che teneva abbracciato il suo

corpo snello sbatté in pieno viso l'impugnatura della sciabola,

facendolo arretrare barcollante, con il sangue che gli sgorgava dalla

bocca, offrì poi il braccio alla donna, rivolgendosi a lei in

francese, con grande cortesia, e la portò, incapace di dire parola

dopo quelle scene, nell'altra ala del castello, non ancora attaccata

dal fuoco, dove lei cadde a terra, priva di conoscenza. Qui quando

apparvero, poco tempo dopo, le fantesche spaventate egli diede

disposizioni perché fosse chiamato un medico, si assicurò,

rimettendosi il cappello, che presto si sarebbe ripresa e tornò alla

battaglia.

La piazzaforte fu in breve tempo interamente conquistata, e il

comandante, che continuava a difendersi solo perché non volevano

concedergli tregua, si stava ritirando, mentre le forze gli venivano

meno, verso il portone della casa, quando l'ufficiale russo, con il

viso in fiamme, ne uscì, e gli gridò di arrendersi. Il comandante

rispose che non aspettava per l'appunto che quell'invito, gli porse la

sciabola e gli chiese il permesso di recarsi nel castello, a cercare

la sua famiglia. L'ufficiale russo, che, a giudicare dal ruolo svolto,

sembrava uno dei capi dell'assalto, gliene diede facoltà, facendolo

accompagnare da una scorta; si mise, con una certa fretta, alla testa

di un distaccamento, decise, dove poteva ancora essere in forse, il

combattimento, e presidiò celermente i punti forti della cittadella.

Poco dopo ritornò sulla piazza d'armi, ordinò di spegnere l'incendio,

che cominciava a dilagare furiosamente, e fece egli stesso sforzi

prodigiosi, quando i suoi ordini non furono eseguiti con il dovuto

zelo. Ora si arrampicava, con il tubo di canapa in mano, fra i

comignoli in fiamme, e dirigeva il getto d'acqua; ora entrava,

riempiendo di terrore quelle nature asiatiche, negli arsenali, e ne

faceva rotolare fuori barili di polvere e bombe cariche.

Il comandante, entrato nel frattempo nella casa, quando seppe

dell'incidente capitato alla marchesa ne fu gravemente sconvolto. La

marchesa, che, senza l'aiuto del medico, come aveva predetto

l'ufficiale russo, si era ripresa dal suo svenimento, e, nella gioia

di vedere tutti i suoi sani e salvi, rimaneva a letto solo per

tranquillizzare le loro eccessive preoccupazioni, assicurò al padre di

non avere altro desiderio, se non di potersi alzare, per testimoniare

la sua gratitudine al suo salvatore. Sapeva già che era il conte F...,

tenente colonnello dei cacciatori di ..., e cavaliere di un Ordine al

merito e di vari altri. La marchesa pregò il padre di insistere presso

di lui, perché non lasciasse la cittadella prima di essersi fatto

vedere un momento nel castello. Il comandante, rispettando il

sentimento della figlia, tornò senza indugio nella fortezza, e, poiché

l'ufficiale correva avanti e indietro, occupato da incessanti

disposizioni militari, e non poteva trovarsi occasione migliore, gli

raccontò là, sui bastioni, dove stava passando in rivista i plotoni

decimati, il desiderio della figlia commossa. Il conte gli assicurò

che aspettava solo il momento in cui avrebbe potuto liberarsi dalle

incombenze, per porgerle i suoi omaggi. E voleva ancora farsi dire

come stava la signora marchesa, quando i rapporti di numerosi

ufficiali lo trascinarono nuovamente nel groviglio della guerra.

Quando spuntò il giorno, comparve il generale che comandava le truppe

russe, e ispezionò la fortezza. Egli espresse al comandante la sua

stima, si dispiacque che la fortuna non avesse maggiormente

assecondato il suo coraggio, e gli diede, dietro parola d'onore, il

permesso di andare dove volesse. Il comandante gli assicurò la sua

gratitudine, e gli disse quale fosse stato, quel giorno, il suo debito

nei confronti dei russi, e in particolare del giovane conte F...,

tenente colonnello dei cacciatori di ... Il generale chiese che cosa

fosse successo; e, quando fu informato dell'infame aggressione alla

figlia del suo interlocutore, mostrò la massima indignazione, e chiamò

per nome il conte F... fuori dai ranghi. Dopo avergli rivolto un breve

elogio per il suo nobile comportamento, al quale il conte arrossì in

tutto il viso, concluse dicendo che avrebbe fatto fucilare i

miserabili che avevano macchiato il nome dell'imperatore; e gli ordinò

di dire chi fossero.

Il conte F... rispose, con un discorso confuso, di non essere in grado

di indicarne i nomi, poiché, alla debole luce delle lanterne, nel

cortile del castello, gli era stato impossibile riconoscere i loro

volti. Il generale, che aveva sentito come in quel momento il castello

fosse già in fiamme, se ne stupì; osservò che le persone conosciute si

possono riconoscere, di notte, anche dalle voci, e, poiché egli alzava

le spalle con viso imbarazzato, gli ordinò di compiere indagini con la

massima solerzia e severità. In quel momento un soldato, fattosi

avanti dalle ultime file, riferì che uno dei malfattori feriti dal

conte F..., essendo caduto nel corridoio, era stato portato dagli

uomini del comandante in un ripostiglio, dove ancora si trovava. Il

generale mandò immediatamente una scorta a prelevarlo, lo fece

sottoporre a un breve interrogatorio, e tutto il gruppo, quando il

primo ebbe fatto i nomi, cinque soldati in tutto, venne fucilato.

Fatto ciò, il generale, dopo aver lasciato una piccola guarnigione,

diede al resto delle truppe l'ordine della partenza: gli ufficiali si

dispersero, correndo, verso i loro reparti; il conte, nella confusione

di coloro che si affrettavano in tutte le direzioni, si avvicinò al

comandante, e si rammaricò di poter soltanto, in quella circostanza,

inviare i suoi deferenti ossequi alla marchesa; e in meno di un'ora

l'intera fortezza fu sgombra dai russi.

La famiglia pensò allora come avrebbe potuto trovare in futuro

un'occasione per far arrivare al conte un segno della sua

riconoscenza; ma quale fu il suo orrore quando venne a sapere che

egli, il giorno stesso della sua partenza dal forte, aveva trovato la

morte in un combattimento con le truppe nemiche. Il corriere che portò

a M... la notizia lo aveva visto con i suoi occhi trasportare, ferito

a morte al petto da una fucilata, in direzione di P..., dove, come

risultava da notizie sicure, nel momento in cui i portantini stavano

per deporlo era spirato. Il comandante, che andò di persona alla

stazione di posta, a informarsi dei particolari dell'avvenimento,

venne inoltre a sapere che il conte, sul campo di battaglia, nel

momento in cui veniva colpito dalla fucilata, avrebbe gridato:

"Giulietta! Questa palla ti vendica!"; poi le sue labbra si erano

chiuse per sempre. La marchesa non sapeva consolarsi di aver lasciato

passare l'occasione per gettarsi ai suoi piedi. Si faceva i più vivi

rimproveri per non essere andata lei stessa a cercarlo, quando egli,

forse per modestia, come lei pensava, aveva rifiutato di ripresentarsi

al castello; compiangeva l'infelice, che portava il suo stesso nome,

alla quale egli aveva pensato nel momento della morte, e si sforzò

inutilmente di rintracciare dove vivesse, per informarla di

quell'evento doloroso e commovente; e passarono molti mesi, prima che

lei stessa potesse dimenticarlo.

La famiglia, intanto, aveva dovuto sgomberare l'abitazione del

comandante, per far posto al generale russo. Pensarono, all'inizio, di

stabilirsi nella tenuta del comandante, soluzione alla quale la

marchesa era assai favorevole; ma, poiché il colonnello non amava la

vita di campagna, la famiglia si trasferì in una casa di città,

adattandola a residenza permanente. Ogni cosa riprese il vecchio

corso. La marchesa tornò a occuparsi dell'istruzione dei bambini, da

lungo tempo interrotta, e, per le ore libere, tirò fuori il suo

cavalletto e i libri: fino a quando, lei che era la salute fatta

persona, cominciò a sentirsi colpita da continui malesseri, che per

settimane intere le impedivano di partecipare alla vita di società.

Soffriva di nausee, capogiri e svenimenti improvvisi, e non sapeva

spiegarsi le ragioni di quella strana condizione.

Un mattino, mentre la famiglia prendeva il tè, e il padre si era

allontanato, per un momento, dalla stanza, la marchesa, riavendosi da

una lunga pausa, in cui era stata soprappensiero, disse alla madre:

"Se una donna mi dicesse di aver avuto una sensazione come quella che

ho avuto io, proprio adesso, prendendo in mano la tazza, penserei, fra

me e me, che è incinta". La signora di G... disse che non la capiva.

La marchesa spiegò, di nuovo, di aver avuto, un attimo prima, una

sensazione come quella di allora, quando era incinta della sua seconda

figlia. La signora di G... disse che forse avrebbe partorito un

fantasma, e si mise a ridere. Forse Morfeo, continuò la marchesa,

scherzando a sua volta, oppure uno dei sogni del suo corteggio, sarà

il padre. Ma il colonnello rientrò, il colloquio venne interrotto, e

tutto l'argomento, poiché in pochi giorni la marchesa si ristabilì, fu

dimenticato.

Poco tempo dopo la famiglia, proprio nei giorni in cui si trovava in

casa anche il figlio del comandante, l'ispettore forestale di G...,

provò lo strano spavento di sentire un domestico, entrato nella

stanza, annunciare la visita del conte F... "Il conte F...!",

esclamarono contemporaneamente il padre e la figlia; e lo stupore

lasciò tutti senza parole. Il domestico assicurò che aveva visto e

sentito bene, e che il conte era già nell'anticamera, in attesa. Il

comandante saltò subito in piedi, per aprirgli la porta di persona, ed

egli entrò, bello come un giovane dio, un po' pallido in viso. Quando

la prima scena di inconcepibile meraviglia fu passata, e il conte ebbe

assicurato ai genitori, che ripetevano che lui era morto, di essere

proprio vivo, egli si rivolse, con il viso intensamente commosso, alla

figlia, e le chiese, prima di ogni altra cosa, come stava. La marchesa

rispose: "Benissimo!", e voleva sapere solo in che modo lui era

tornato alla vita. Ma lui, insistendo nell'argomento, rispose che lei

non gli diceva la verità; il suo viso esprimeva una strana

spossatezza, e, se l'apparenza non lo ingannava, doveva essere

indisposta e sofferente. La marchesa, convinta dal calore con cui egli

disse queste parole, rispose che sì, quella spossatezza, se voleva,

poteva essere la traccia di un malessere di cui aveva sofferto qualche

settimana prima; ma non aveva più nessun timore che dovesse avere

altre conseguenze. Nemmeno lui, rispose il conte avvampando di gioia;

e le chiese se voleva sposarlo.

La marchesa non sapeva che cosa pensare di quella dichiarazione.

Guardò, arrossendo sempre più, la madre, quest'ultima, con imbarazzo,

guardò il marito e il figlio, mentre il conte si avvicinava alla

marchesa e, prendendole la mano, come se volesse baciarla, chiese se

lo aveva compreso. Il comandante disse se non voleva accomodarsi, e

gli offrì, con gentilezza, ma anche con una certa gravità, una sedia.

La moglie del colonnello disse: "In verità, continueremo a credere che

voi siate un fantasma, finché non ci avrete rivelato in che modo siete

risorto dalla tomba in cui eravate deposto a P...".

Il conte sedette, lasciando la mano della marchesa, e disse che,

incalzato dalle circostanze, era costretto a essere breve: ferito

mortalmente al petto, era stato portato a P..., e per molti mesi

laggiù aveva disperato di sopravvivere; per tutto quel tempo la

signora marchesa era stata il suo unico pensiero, e non poteva

descrivere la gioia e il dolore che aveva provato pensando a lei; alla

fine, una volta ristabilito, aveva raggiunto l'armata, laggiù aveva

provato la più grande inquietudine, e più volte aveva preso la penna,

per aprire il suo cuore in una lettera al signor colonnello e alla

signora marchesa; improvvisamente era stato inviato a Napoli con dei

dispacci, e non sapeva se da lì avrebbe ricevuto l'ordine di

continuare per Costantinopoli, o forse avrebbe dovuto andare

addirittura a San Pietroburgo; nel frattempo gli era impossibile

vivere, senza aver chiarito un'impellente richiesta del suo cuore, e,

dovendo passare per M.., non aveva potuto resistere all'impulso di

compiere qualche passo a questo scopo; in breve, era suo desiderio

essere reso felice dalla mano della signora marchesa, e pregava, nel

modo più deferente, più fervido e più urgente, che gli fosse data una

risposta benevola.

Il comandante, dopo una lunga pausa, rispose di essere, sì, molto

lusingato dalla proposta, se, come non dubitava, era fatta sul serio.

Ma, alla morte del marito, il marchese di O...., sua figlia aveva

deciso di non sposarsi una seconda volta. Poiché tuttavia di recente

il gesto del signor conte l'aveva così tanto impegnata, non era

impossibile che, grazie a questo, la sua decisione subisse un

cambiamento in sintonia con i suoi desideri; nel frattempo gli

chiedeva, a nome di lei, il permesso di riflettere con calma per

qualche tempo.

Il conte assicurò che quella risposta benevola soddisfaceva tutte le

sue speranze e che, in altre circostanze, l'avrebbe reso pienamente

felice; sentiva tutta la sconvenienza di non accontentarsene, e

tuttavia una situazione di urgenza, sulla quale non era in grado di

fornire maggiori particolari, lo spingeva a desiderare una

dichiarazione più precisa; i cavalli che dovevano portarlo a Napoli

erano già attaccati alla carrozza, e pregava nel modo più fervido, se

c'era qualcosa in quella casa che poteva parlare in suo favore - e

dicendo queste parole guardò la marchesa - di non lasciarlo partire

senza una benevola risposta su questo punto.

Il colonnello, un po' turbato da questo comportamento, rispose che la

gratitudine che la marchesa sentiva per lui lo autorizzava, sì, a

nutrire grandi aspettative: ma non così grandi; essa non si sarebbe

decisa a un passo dal quale dipendeva la felicità della sua vita senza

la necessaria prudenza. Era indispensabile che sua figlia, prima di

dichiararsi, avesse la fortuna di conoscerlo più da vicino. Egli lo

invitava, dopo la conclusione del suo viaggio di servizio, a fare

ritorno a M... ed essere per qualche tempo ospite in casa sua. Se,

allora, la signora marchesa avesse potuto sperare di essere felice con

lui, anche il colonnello, ma non prima, avrebbe ascoltato con gioia

sua figlia dare la risposta definitiva.

Il conte rispose, diventando rosso, che per tutto il viaggio aveva

previsto che i suoi desideri impazienti sarebbero andati incontro a

quel destino, e però da questo fatto si vedeva gettato nel più

profondo sconforto; nella parte sfavorevole che si vedeva, in quel

momento, costretto a rappresentare, una conoscenza più approfondita

non poteva essere altro che vantaggiosa; per il suo buon nome, se

proprio questa qualità di tutte la più ambigua, doveva essere presa in

considerazione, credeva di potersi rendere garante; l'unica azione

indegna che aveva commesso in vita sua era ignota al mondo, e lui era

già in procinto di ripararla; egli era, in una parola, uomo d'onore, e

pregava di accettare l'assicurazione che questa affermazione era

veritiera.

Il comandante replicò, con un leggero sorriso, ma senza ironia, di

essere pronto a sottoscrivere tutte quelle dichiarazioni. Non aveva

mai fatto la conoscenza di un giovane che, in così breve tempo, avesse

dato prova di tante eccellenti qualità di carattere. Era quasi

convinto che un breve periodo di riflessione avrebbe superato le

incertezze che ancora restavano; ma, prima di essersi consigliato con

la propria famiglia, e con quella del signor conte, non avrebbe potuto

pronunciare una dichiarazione diversa da quella già data. Il conte

rispose di essere libero e senza genitori. Suo zio era il generale

K..., e lui garantiva il suo consenso. Aggiunse che era proprietario

di un notevole patrimonio, e avrebbe potuto decidersi a fare

dell'Italia la sua patria. Il comandante si inchinò cortesemente,

dichiarò ancora una volta la sua volontà, e lo pregò di non parlarne

più, fino alla fine del suo viaggio.

Il conte, dopo una breve pausa, in cui aveva dato tutti i segni della

più viva inquietudine, disse, rivolgendosi verso la madre, che aveva

fatto tutto quanto era in suo potere per evitare quel viaggio di

servizio; i passi che aveva fatto a questo scopo presso il comandante

in capo e il generale K..., suo zio, erano stati i più decisi che

fosse possibile compiere; però essi avevano creduto di scuoterlo,

così, da una malinconia considerata uno dei postumi della sua

infermità, mentre egli da questo si vedeva ora precipitato nella più

completa disperazione.

La famiglia non sapeva che cosa rispondere a queste parole. Il conte

continuò, fregandosi la fronte: se vi era qualche speranza di

avvicinarsi alla meta dei suoi desideri, avrebbe rimandato di un

giorno, e magari qualcosa di più, la partenza, per fare questo

tentativo. E, dicendo ciò, fissò il comandante, la marchesa e la

madre. Il comandante guardava a terra, scontento, davanti a sé, e non

gli rispose. Sua moglie disse: "Andate, andate, signor conte; partite

pure per Napoli e, quando sarete di ritorno, concedeteci per un po' la

gioia della vostra presenza; il resto verrà".

Il conte rimase per un momento seduto, e sembrò riflettere a che cosa

dovesse fare. Poi, alzandosi e allontanando la sedia, disse che,

poiché doveva riconoscere che le speranze con le quali era entrato in

quella casa erano state troppo precipitose, e la famiglia, cosa che

egli non disapprovava, insisteva per conoscerlo meglio, avrebbe

rispedito i suoi dispacci a Z..., al quartier generale, perché

proseguissero per altra via, e avrebbe accettato la benevola offerta

di essere ospite della casa per alcune settimane. Detto questo,

aspettò ancora un momento in piedi con la mano appoggiata alla sedia,

vicino alla parete, guardando il comandante. Il comandante rispose che

gli sarebbe dispiaciuto moltissimo se la passione che egli sembrava

aver concepito per sua figlia avesse dovuto attirare su di lui

spiacevoli conseguenze di gravità estrema: ma poiché stava a lui

decidere quello che doveva fare o non fare, mandasse pure i dispacci,

e prendesse possesso delle stanze che gli erano destinate. A quelle

parole si vide il conte impallidire, baciare con deferenza la mano

alla madre, inchinarsi agli altri e uscire.

Quando ebbe lasciato la stanza, la famiglia non sapeva come giudicare

il suo comportamento. La madre disse che non era possibile che volesse

rispedire a Z... i dispacci con i quali doveva andare a Napoli solo

perché non era riuscito, passando per M..., in cinque minuti di

conversazione, a ottenere un sì da una signora del tutto sconosciuta.

L'ispettore forestale osservò che una simile leggerezza sarebbe stata

punita per lo meno con gli arresti in fortezza! E anche con la

degradazione, aggiunse il comandante. Ma di questo non c'era pericolo,

continuò. Era solo un falso allarme; senza dubbio, prima di rispedire

i dispacci, ci avrebbe ripensato. La madre, quando fu informata di

quel pericolo, manifestò la più viva preoccupazione che li rispedisse

veramente. La sua impulsiva volontà, tutta tesa a un solo scopo, le

sembrava, disse, senz'altro capace di un gesto simile. E pregò con

insistenza l'ispettore di seguirlo immediatamente, per trattenerlo da

un'azione dalle conseguenze così minacciose. L'ispettore rispose che

un passo come quello avrebbe avuto l'effetto contrario, e non avrebbe

fatto altro che rafforzarlo nella speranza di vincere con il suo

stratagemma. La marchesa era della stessa opinione, e però era sicura

che, senza l'intervento del fratello, avrebbe spedito sicuramente i

dispacci, perché avrebbe preferito rovinarsi, piuttosto che fare una

brutta figura. Tutti convenivano che il suo comportamento era molto

strano, e che sembrava abituato a conquistare i cuori femminili

d'assalto, come le fortezze.

In quel momento il comandante notò davanti al portone la carrozza del

conte, con i cavalli attaccati. Chiamò la famiglia alla finestra, e

chiese con stupore a un domestico, che stava appunto entrando, se il

conte fosse ancora in casa. Il domestico rispose che era da basso,

nella stanza della servitù, in compagnia di un aiutante, a scrivere

lettere e sigillare pacchi. Il comandante, nascondendo la sua

costernazione, scese in fretta le scale con l'ispettore e chiese al

conte, poiché lo vedeva sbrigare la sua corrispondenza a un tavolo

poco adatto, se non voleva accomodarsi nelle sue stanze, e se non

aveva altri ordini. Il conte rispose, continuando a scrivere con

precipitazione, che ringraziava umilmente, ma la sua corrispondenza

era terminata; chiese, sigillando la lettera, che ora fosse, e augurò

all'aiutante, dopo avergli consegnato l'intero plico, buon viaggio.

Il comandante, che non credeva ai suoi occhi, disse, mentre l'aiutante

usciva di casa: "Signor conte! Se non avete ragioni molto

importanti...".

"Decisive!", lo interruppe il conte, accompagnando l'aiutante alla

carrozza e tenendogli aperto lo sportello.

"In questo caso", continuò il comandante, "almeno per ciò che riguarda

i dispacci...".

"Non è possibile", rispose il conte, facendo sedere l'aiutante. "I

dispacci non servirebbero a nulla a Napoli senza di me. Ci avevo

pensato. Via!".

"E le lettere del suo signor zio?", gridò l'aiutante, sporgendosi

dallo sportello.

"Mi troveranno", rispose il conte, "a M...".

"Via!", disse l'aiutante, e la carrozza si mosse.

A questo punto il conte F..., rivolgendosi al comandante, gli chiese

se voleva avere la bontà di fargli indicare la sua stanza. Il

colonnello, confuso, rispose che avrebbe avuto egli stesso l'onore;

chiamò i suoi domestici e quelli del conte, perché portassero su i

bagagli, e lo portò nelle stanze destinate agli ospiti, dove si

accomiatò da lui con il viso corrucciato. Il conte si cambiò; lasciò

la casa, per presentarsi al governatore della piazza, e per tutto il

resto della giornata non si fece più vedere in casa, ritornando solo

poco prima di cena.

Nel frattempo la famiglia era nella più viva inquietudine. L'ispettore

forestale raccontò quanto erano state decise, ad alcune osservazioni

del comandante, le risposte che il conte gli aveva dato; disse che il

suo comportamento aveva tutta l'apparenza di un passo ben ponderato e

si chiese quali potessero essere, in nome del cielo, le ragioni di una

domanda di matrimonio fatta in quel modo a briglia sciolta. Il

comandante disse che non ci capiva niente, e invitò la famiglia a non

parlarne più in sua presenza. La madre guardava ogni momento dalla

finestra, per vedere se non stesse ritornando, pentito della sua

leggerezza e deciso a ripararla. Alla fine, quando si fece buio, si

sedette accanto alla marchesa, che lavorava, tutta assorta, a un

tavolino, e sembrava voler evitare la conversazione, e le chiese a

mezza voce, mentre il padre camminava avanti e indietro, se sapeva

come sarebbe andata a finire. La marchesa rispose, lanciando una

timida occhiata al comandante, che tutto sarebbe stato risolto se suo

padre fosse riuscito a indurlo a partire per Napoli.

"Per Napoli!", gridò il comandante, che aveva sentito. "Dovevo mandare

a chiamare il prete? O dovevo farlo mettere agli arresti, e inviare a

Napoli sotto scorta?".

"No", rispose la marchesa. "Ma pressanti e vivaci raccomandazioni

fanno pure il loro effetto". E riabbassò gli occhi, un po' risentita,

sul suo lavoro.

Finalmente, a notte, il conte apparve. Si aspettava soltanto, dopo i

primi convenevoli, che la conversazione cadesse sull'argomento, per

andare tutti insieme all'assalto e indurlo a ritirare, se era ancora

possibile, il passo che aveva arrischiato. Ma invano, per tutta la

cena, si aspettò quel momento. Evitando intenzionalmente tutto quello

che poteva portarvelo, egli intrattenne il comandante parlando di

guerra e l'ispettore parlando di caccia. Quando nominò il

combattimento nei pressi di P..., nel quale era stato ferito, la madre

lo convinse a raccontare la storia della sua degenza, chiedendogli

come si era trovato in quella piccola località, e se vi aveva trovato

le comodità necessarie. Allora lui raccontò numerosi particolari,

interessanti perché riguardavano la sua passione per la marchesa:

come, durante la malattia, lei sedesse continuamente vicino al suo

letto, ed egli, nel calore della febbre, confondesse sempre la visione

di lei con la visione di un cigno che aveva visto da ragazzo nella

tenuta di suo zio; soprattutto lo aveva commosso un ricordo: un giorno

aveva gettato del fango contro quel cigno, e l'animale si era tuffato

sott'acqua, in silenzio, ed era riemerso bianco e puro dalle onde; lei

nuotava sempre su onde infuocate, e lui la chiamava Thinka, che era

appunto il nome di quel cigno; ma non riusciva mai ad attirarla vicino

a sé, poiché le piaceva soltanto scivolare, gonfiando le piume; e, di

colpo, diventando di brace, assicurò che la amava in modo

straordinario, riabbassò gli occhi sul piatto e tacque.

Alla fine dovettero alzarsi da tavola; e poiché il conte, rivolta

qualche parola alla madre, fece subito un inchino alla compagnia e si

ritirò nella sua camera, tutti gli altri rimasero lì, senza sapere che

cosa pensare.

Il comandante disse che bisognava lasciare le cose al loro corso.

Probabilmente per quel passo egli faceva conto sui suoi parenti.

Altrimenti il disonore della degradazione era inevitabile. La signora

di G... chiese alla figlia che opinione si fosse fatta di lui. E se

avrebbe potuto acconsentire a una qualche dichiarazione che evitasse

una disgrazia.

"Mamma carissima!", rispose la marchesa. "Non è possibile. Mi dispiace

che la mia riconoscenza sia messa a una così dura prova, ma la mia

decisione era di non risposarmi. Non voglio mettere in gioco una

seconda volta, e in un modo così avventato, la mia felicità".

L'ispettore forestale osservò che, se questa era la sua ferma volontà,

anche questa dichiarazione poteva giovare al conte, e che sembrava

assolutamente necessario fargli una dichiarazione precisa, quale essa

fosse. La moglie del colonnello aggiunse che, poiché quel giovane,

raccomandato da tante qualità fuori dell'ordinario, aveva dichiarato

di volersi stabilire in Italia, la sua proposta, a suo giudizio,

meritava qualche riguardo, e la decisione della marchesa andava messa

alla prova. L'ispettore forestale, sedendosi accanto a lei, le chiese

se, quanto alla persona, le piacesse.

"Mi piace, e non mi piace", rispose la marchesa, con un certo

imbarazzo; e si appellò alle sensazioni degli altri.

"Se ritornasse da Napoli", disse la moglie del colonnello, "e le

informazioni che noi, nel frattempo, potremmo prendere su di lui non

smentissero l'impressione generale che ne hai ricevuto, quale risposta

gli daresti, se ripetesse la sua domanda?".

"In questo caso", rispose la marchesa, "io... poiché il suo desiderio

sembra, in verità, così forte, io questo desiderio", e nel dire così

si fermò, e le brillarono gli occhi, "per la gratitudine che gli devo,

lo esaudirei".

La madre, che aveva sempre desiderato che sua figlia si sposasse di

nuovo, faticò a nascondere la sua gioia per quella dichiarazione, e si

mise a riflettere su come trarne profitto. L'ispettore forestale,

alzandosi nuovamente con inquietudine, disse che, se la marchesa

pensava a una possibilità di concedergli, un giorno, la sua mano, era

necessario compiere subito un passo per prevenire le conseguenze della

sua azione sconsiderata. La madre era della stessa opinione e affermò

che, in fin dei conti, il rischio non era poi così grande: date le

eccellenti qualità che egli aveva dimostrato quella notte, quando la

fortezza era stata assalita dai russi, non vi era quasi da temere che

il resto della sua condotta non dovesse corrispondervi. La marchesa,

con l'espressione della più viva inquietudine, guardava a terra

davanti a sé.

"Potremmo magari", continuò la madre, prendendole la mano, "fargli

avere una dichiarazione che tu, fino al suo ritorno da Napoli, non ti

legheresti a nessun altro".

"QUESTA dichiarazione, mamma carissima", disse la marchesa, "posso

dargliela; ho paura solo che non serva a tranquillizzarlo, e metta noi

in una situazione difficile".

"A questo penso io!", replicò la madre, con viva gioia; e girò gli

occhi verso il comandante. "Lorenzo", chiese, "che cosa ne pensi?". E

si accinse ad alzarsi dalla sedia. Il comandante, che aveva sentito

tutto, in piedi a fianco alla finestra, guardava la strada e non disse

niente. L'ispettore assicurò che si impegnava, con quella innocua

dichiarazione, a far partire il conte.

"Ebbene, fate, fate, fate!", gridò il padre, girandosi. "E già la

seconda volta che devo arrendermi a questo russo!".

A quelle parole la madre saltò in piedi, baciò lui e la figlia e

chiese, mentre il padre sorrideva di quel suo affaccendarsi, come si

potesse ora far arrivare immediatamente al conte la dichiarazione. Si

decise, su proposta dell'ispettore forestale, di farlo pregare, se non

si era ancora svestito, di avere la compiacenza di dedicare un momento

alla famiglia.

Avrebbe avuto subito l'onore di comparire, fece rispondere il conte, e

il servitore era appena ritornato con questa risposta che già egli

stesso, con passi ai quali la gioia aveva messo le ali, entrava nella

stanza e si gettava, con la più viva commozione, ai piedi della

marchesa. Il comandante voleva dire qualcosa ma egli, alzandosi, disse

che ne sapeva abbastanza, baciò la mano a lui e alla madre, abbracciò

il fratello, e lo pregò soltanto della cortesia di aiutarlo a trovare

subito una carrozza da viaggio.

La marchesa, benché commossa da quella scena, disse tuttavia: "Non

vorrei, signor conte, che la vostra precipitosa speranza vi spingesse

troppo oltre...".

"No, no", rispose il conte. "Niente sarà accaduto, se le informazioni

che vorrete prendere su di me smentiranno il sentimento che mi ha

richiamato a voi in questa stanza".

A queste parole il comandante lo abbracciò nel modo più cordiale,

l'ispettore gli offrì immediatamente la propria carrozza da viaggio,

un soldato corse alla posta, a ordinare, offrendo premi, dei cavalli

veloci, e quella partenza suscitò una gioia che non ha mai

accompagnato nessun arrivo.

Sperava, disse il conte, di raggiungere i dispacci a B..., da cui

avrebbe preso una via per Napoli più diretta di quella che passava per

M...; a Napoli avrebbe fatto il possibile per evitare l'ulteriore

viaggio per servizio a Costantinopoli; e, poiché, in caso estremo, si

diceva deciso a darsi ammalato, assicurò che, se non lo avessero

trattenuto ostacoli insormontabili, in un tempo compreso tra le

quattro e le sei settimane sarebbe stato sicuramente di ritorno a M...

In quel momento il suo attendente annunciò che i cavalli erano

attaccati, e tutto era pronto per la partenza. Il conte prese il

cappello, si avvicinò alla marchesa e le prese la mano.

"Adesso, Giulietta", disse, "sono un po' più tranquillo", e mise la

sua mano in quella di lei. "Anche se il mio più ardente desiderio era

di sposarvi prima della mia partenza".

"Sposarla!", esclamarono tutti i membri della famiglia.

"Sposarla!", ripeté il conte, baciò la mano alla marchesa, e assicurò,

poiché lei gli chiedeva se fosse in sé, che sarebbe venuto un giorno

in cui lo avrebbe compreso! La famiglia voleva arrabbiarsi con lui; ma

egli prese subito congedo da tutti con il più grande calore, la pregò

di non pensare più a quanto aveva detto e partì.

Passarono alcune settimane, durante le quali la famiglia, con

sentimenti molto diversi, fu tutta tesa all'esito di quella singolare

vicenda. Il comandante ricevette dal generale K..., zio del conte, una

cortese missiva, il conte stesso scrisse da Napoli, le informazioni

assunte su di lui parlavano in suo favore: in breve, il fidanzamento

era dato ormai per cosa fatta, quando le indisposizioni della marchesa

ripresero, più forti di prima. La marchesa notò nella propria figura

un mutamento incomprensibile. Si aprì allora alla madre, con la più

completa franchezza, dicendo che non sapeva che cosa pensare del suo

stato. La madre, che quel seguito di strani eventi aveva reso

estremamente apprensiva per la salute della figlia, le chiese di

consultare un medico. La marchesa, sperando che la sua fibra avesse la

meglio, era riluttante, e aspettò ancora parecchi giorni senza seguire

il consiglio della madre, tra sofferenze sempre più fastidiose: finché

alcune sensazioni sempre ripetute, di tipo assai singolare, la fecero

precipitare nella più viva inquietudine.

Fece chiamare un medico che godeva della fiducia di suo padre, lo

invitò, in un momento in cui sua madre era assente, a prendere posto

sul divano, e gli confidò, dopo un breve preambolo, scherzosamente,

che cosa pensava del suo stato. Il medico le gettò un'occhiata

indagatrice; tacque, dopo aver portato a termine una visita accurata,

ancora per un po', e infine rispose, serissimo in volto, che la

signora marchesa aveva perfettamente ragione. Quando lei ebbe chiesto

che cosa intendesse dire con quelle parole, e il medico si fu spiegato

in modo del tutto esplicito, aggiungendo, con un sorriso che non poté

reprimere, che era sanissima e non aveva nessun bisogno dl un dottore,

la marchesa suonò, guardandolo severamente, il campanello, e lo pregò

di andarsene. E aggiunse a mezza voce, come se non fosse degno che lei

gli rivolgesse la parola, mormorando, con capo chino davanti a sé, che

non aveva nessuna intenzione di scherzare con lui su simili argomenti.

Il dottore rispose, offeso, che non poteva che augurarle di essere

sempre stata così poco disposta allo scherzo come in quel momento;

prese il bastone e il cappello e fece l'atto di accomiatarsi. La

marchesa assicurò che avrebbe informato il padre di quelle offese. Il

medico rispose che avrebbe potuto ripetere il suo responso in

tribunale sotto giuramento, aprì la porta, si inchinò e fece per

uscire dalla stanza. La marchesa, mentre egli raccoglieva da terra un

guanto che aveva lasciato cadere, domandò: "Ma come è possibile,

dottore?". Il medico replicò che non c'era bisogno che lui le

spiegasse le ragioni ultime delle cose, si inchinò ancora una volta e

se ne andò.

La marchesa rimase in piedi, come colpita dal fulmine. Si fece forza,

e voleva correre da suo padre; ma la strana serietà dell'uomo dal

quale si era vista offesa le paralizzava le membra. Nella più grande

agitazione, si lasciò cadere sul divano. Percorse, diffidando di se

stessa, tutti i momenti dell'anno trascorso, e si credette pazza,

quando pensò all'ultimo. Alla fine comparve sua madre, e le chiese

costernata che cosa la rendesse così inquieta; la figlia le raccontò

quello che il medico le aveva appena rivelato.

La signora di G... gli diede dello svergognato e dell'infame e

incoraggiò la figlia nella decisione di riferire al padre

quell'offesa. La marchesa assicurò che era stato serissimo, e che

sembrava deciso a ripetere la sua folle affermazione in faccia al

padre. La signora di G..., non poco spaventata, le chiese se non

credeva alla possibilità di un simile stato.

"Piuttosto", rispose la marchesa, "crederei che possa essere fecondata

una tomba, e che una nascita si sviluppi nel grembo di un cadavere!".

"Allora, mia cara e stravagante creatura", disse la moglie del

colonnello, stringendola forte a sé, "che cosa ti preoccupa? Se la tua

coscienza ti assolve, che cosa ti può importare di un responso, anche

se fosse di un'intera consulta di medici? Se il suo sia stato il

frutto di errore o di cattiveria, non è per te del tutto indifferente?

Comunque, è opportuno dire tutto a tuo padre".

"Oh, Dio!", disse la marchesa, con un movimento convulso. "Come posso

mettermi l'anima in pace? Non ho forse contro di me la mia propria

sensazione interna, che mi è anche troppo nota? Se sapessi che

un'altra donna ha le mie stesse sensazioni, non giudicherei io stessa

che le cose stanno proprio così?".

"E' orribile", rispose la moglie del colonnello.

"Cattiveria! Errore!", proseguì la marchesa. "Quali motivi può avere

quell'uomo, che fino a oggi ci è sembrato degno di stima, per

offendermi in modo così indegno, e di proposito? Io, che non gli ho

mai fatto niente? Che l'ho accolto con fiducia, e mi preparavo a

testimoniargli la mia gratitudine? Lui che si presentò a me, come

dimostravano le sue prime parole, con l'intenzione più schietta e

sincera di aiutarmi, e non di suscitare dolori più atroci di quelli

che sentivo? E se, dovendo scegliere a ogni costo", continuò, mentre

la madre la guardava impassibile, "volessi credere a un errore: è

forse possibile che un medico, fosse pure di capacità mediocre, sbagli

in un caso simile?".

"Eppure", disse la moglie del colonnello, con voce tagliente, "deve

essere per forza o una cosa o l'altra".

"Sì", riprese la marchesa, "madre mia carissima". E, con l'espressione

della dignità offesa, diventando tutta rossa in volto, le baciò la

mano. "Deve esserlo! Benché le circostanze siano così straordinarie

che mi è lecito dubitarne. Giuro, poiché c'è pur bisogno di

un'assicurazione, che la mia coscienza è come quella dei miei bambini;

più illibata non può essere la vostra, madre mia venerata. E tuttavia

vi prego di mandare a chiamare una levatrice, perché mi convinca di

come stanno le cose, e allora, comunque stiano, mi metta l'anima in

pace".

"Una levatrice!", esclamò la signora di G... con indignazione. "La

coscienza illibata e la levatrice!". E le mancò la parola.

"Una levatrice, madre carissima", ripeté la marchesa, mettendosi in

ginocchio davanti a lei; "e subito, altrimenti divento pazza".

"Oh, molto volentieri", ribatté la moglie del colonnello; "ti prego

solo di non sgravare in casa mia". E con queste parole si alzò e fece

per lasciare la stanza. La marchesa la seguì a braccia aperte, cadde,

prostrando il viso al suolo, e le strinse le ginocchia.

"Se una vita senza macchia", gridò, con l'eloquenza del dolore, "una

vita condotta secondo il vostro modello, mi dà qualche diritto alla

vostra stima; se anche soltanto un sentimento materno parla per me,

finché la mia colpa non sia lampante alla luce del sole, nel vostro

petto, non abbandonatemi in questi orribili momenti!".

"Che cos'è che ti angustia?", chiese la madre. "Proprio nient'altro

che il responso del medico? Nient'altro che la tua sensazione

interna?".

"Nient'altro, madre mia", rispose la marchesa, mettendosi una mano sul

petto.

"Niente, Giulietta?", continuò la madre. "Pensaci. Un tuo sbaglio, che

pure mi addolorerebbe immensamente, si potrebbe, e alla fine dovrei

per forza, perdonarlo; ma se tu, per sfuggire al rimprovero materno,

arrivassi al punto di inventare la favola di uno sconvolgimento

dell'ordine universale, e di accumulare giuramenti sacrileghi per

imporla al mio cuore, anche troppo disposto a crederti, questa sarebbe

un'infamia, e non potrei volerti bene mai più".

"Possa il regno della redenzione essere un giorno così aperto davanti

a me, come lo è la mia anima davanti a voi", gridò la marchesa. "Non

vi ho taciuto niente, mamma".

Queste parole, dette con tanta passione, scossero la madre. "O

cielo!", esclamò. "Bambina adorata, che pena mi fai!". E la tirò su,

la baciò, e se la strinse al petto. "Ma di che cosa hai paura,

insomma? Vieni, tu stai molto male".

E voleva metterla a letto. Ma la marchesa, che non riusciva a

trattenere le lacrime, assicurò che era sanissima, e non provava

nessun malessere, se non quello stato singolare e inspiegabile.

"Stato!", gridò di nuovo la madre. "Quale stato? Se la tua memoria è

così sicura del passato, che follia, che paura ti ha presa? Una

sensazione interna, che si fa sentire solo in modo indistinto, non può

forse trarre in inganno?".

"No, no!", disse la marchesa. "Non mi inganna! E se farete chiamare la

levatrice, sentirete che questa cosa orribile, che mi annienta, è la

verità".

"Vieni, figlia mia cara", disse la signora di G..., che cominciava a

nutrire timori per il suo stato mentale. "Vieni, vieni con me, e

mettiti a letto. Cosa dicevi che ti ha detto il dottore? Come scotta

la tua faccia! Come tremi in tutto il corpo. Che cos'era già che ti ha

detto il dottore?". E, nel dir così, portava con sé la marchesa, non

credendo più, ormai, a tutta la scena che le aveva raccontato.

"Cara, eccellente madre!", diceva la marchesa, sorridendo con gli

occhi pieni di lacrime. "Non sono fuori di me. Il dottore mi ha detto

che sono incinta. Fate chiamare la levatrice, e appena avrà detto che

non è vero, mi calmerò".

"Bene, bene!", rispose la moglie del colonnello, reprimendo la sua

angoscia. "Verrà subito; arriverà subito, se proprio vuoi che rida di

te, e ti dica che sogni, che non ci stai con la testa". E così dicendo

suonò il campanello e mandò sui due piedi un domestico a chiamare la

levatrice.

La marchesa era ancora distesa, con il petto ansimante per

l'inquietudine, fra le braccia della madre, quando arrivò la donna, e

la moglie del colonnello le confidò a causa di quali strane fantasie

sua figlia fosse a letto malata. La signora marchesa giurava di

essersi comportata virtuosamente, eppure, tratta in inganno da una

sensazione incomprensibile, pensava necessario che una donna esperta

controllasse il suo stato. La levatrice, mentre la andava esaminando,

parlò di sangue giovane e della perfidia del mondo; spiegò, quando

ebbe finito, che di casi simili gliene erano già capitati; le giovani

vedove che si venivano a trovare nelle sue condizioni dicevano tutte

di essere vissute su un'isola deserta; e intanto tranquillizzava la

signora marchesa, assicurandole che l'allegro corsaro approdato

nottetempo prima o poi si sarebbe trovato.

A queste parole la marchesa svenne. La moglie del colonnello, che non

poté reprimere il suo sentimento materno, la richiamò sì, con l'aiuto

della levatrice, alla vita; ma, quando fu rinvenuta, l'indignazione

vinse.

"Giulietta", gridò la madre con il più profondo dolore, "vuoi aprirti

a me, vuoi dirmi il nome del padre?". E sembrava ancora incline al

perdono. Ma quando la marchesa disse che sarebbe diventata pazza, la

madre alzandosi dal divano disse: "Vattene! Vattene! Sei un'indegna!

Maledetta sia l'ora che ti ho messo al mondo!". E lasciò la stanza.

La marchesa, alla quale sembrò di nuovo che la luce del giorno

svanisse, attirò a sé la levatrice e, tremando con violenza, appoggiò

il capo sul suo petto. Con la voce rotta, le chiese come procedesse la

natura per le sue vie, e se vi fosse la possibilità di concepire senza

saperlo.

La levatrice sorrise, la liberò del fazzoletto e disse che quello non

era certo il caso della signora marchesa. No, no, rispose la marchesa,

non aveva concepito senza saperlo; voleva solo sapere, così, in

generale, se un simile evento può avvenire in natura. La levatrice

rispose che questo, a parte la santa Vergine, non era mai successo a

nessuna donna sulla terra.

La marchesa tremava sempre più violentemente. Credeva di doversi

sgravare da un momento all'altro e pregava la levatrice, stringendosi

a lei con angoscia convulsa, di non abbandonarla. La levatrice la

tranquillizzò. Le assicurò che il momento del parto era ancora

lontano, le consigliò i mezzi con i quali, in casi simili, si può

sfuggire alla maldicenza del mondo e disse che tutto sarebbe finito

bene. Ma poiché quelle ragioni di consolazione erano altrettante

stilettate al cuore dell'infelice marchesa, essa si fece forza, disse

che si sentiva meglio e pregò la donna dl allontanarsi.

La levatrice era appena uscita della stanza, quando alla marchesa fu

portato un biglietto della madre, nella quale essa si esprimeva così:

"Il signor di G... desiderava, nelle attuali circostanze, che lei

abbandonasse la sua casa, le inviava, acclusi, i documenti che

riguardavano il suo patrimonio, e sperava che Dio gli risparmiasse la

sventura di rivederla". La lettera era bagnata di lacrime, e in un

angolo c'era una parola cancellata: "dettata".

Il dolore proruppe dagli occhi della marchesa. Corse, singhiozzando

per l'errore dei genitori e per l'ingiustizia che quelle persone

eccellenti erano indotte a commettere, nelle stanze della madre. Le

dissero che era dal padre. Barcollando, raggiunse le stanze del padre.

E, quando trovò le porte chiuse a chiave, vi si accasciò davanti,

invocando, con voce piangente, tutti i santi a testimoni della propria

innocenza.

Poteva essere rimasta là alcuni minuti, quando l'ispettore forestale

uscì e le disse, con il viso in fiamme, che aveva sentito che il

comandante non voleva vederla! La marchesa gridò singhiozzando:

"Fratello mio caro!", si spinse nella stanza e gridò: "Padre

carissimo!", tendendo le braccia verso di lui.

Il comandante, non appena la vide, le girò la schiena e corse nella

camera da letto. "Via!", urlò, quando lei lo seguì, e cercò di

sbatterle le porte in faccia; ma poiché lei, piangendo e supplicando,

gli impedì di chiuderle, di colpo cedette e corse, mentre la marchesa

entrava dietro di lui, verso la parete di fondo. La marchesa si gettò

ai piedi del padre, che le aveva girato la schiena, e gli abbracciò le

ginocchia tremando; ma in quell'istante una pistola, che egli aveva

afferrato, mentre la staccava dalla parete sparò, e la palla si

conficcò nel soffitto con fracasso.

"Signore Iddio!", esclamò la marchesa. Si alzò in piedi, pallida come

un cadavere, e lasciò a passi rapidi le stanze di suo padre.

"Fate attaccare immediatamente", disse, rientrando nelle sue stanze;

sedette, mortalmente sfinita, in una poltrona, vestì rapidamente i

bambini e ordinò di fare i bagagli. Teneva per l'appunto fra le

ginocchia la più piccola, e stava avvolgendola in uno scialle,

preparandosi, ora che tutto era pronto per la partenza, a salire in

carrozza, quando entrò l'ispettore forestale, che le chiese, per

ordine del comandante, di lasciare la casa e consegnargli i bambini.

"Questi bambini?", domandò lei, e si alzò. "Di' al tuo inumano padre

che può venire qui a uccidermi, ma non strapparmi i miei figli!". E,

armata di tutto l'orgoglio dell'innocenza, prese in braccio i bambini,

li portò, senza che il fratello osasse fermarla, nella carrozza, e

partì.

Rivelatasi, attraverso questa bella prova di energia, a se stessa, si

sollevò di colpo, come per propria mano, dall'abisso nel quale l'aveva

precipitata il destino. Il tumulto che le lacerava il petto si calmò.

Quando fu all'aria aperta, baciò più volte i bambini, le sue care

prede, e ripensò, con grande soddisfazione, a quale vittoria la forza

della sua immacolata coscienza avesse riportato sul fratello. Il suo

intelletto, abbastanza forte per non infrangersi in quella singolare

situazione, si diede completamente per vinto di fronte al grande,

santo e inspiegabile ordine dell'universo. Vide l'impossibilità di

convincere la famiglia della propria innocenza, capì che doveva

rassegnarsi, se non voleva morire, e pochi giorni soltanto erano

passati dal suo arrivo a V... che il suo dolore cedeva di fronte

all'eroico proposito di armarsi di orgoglio contro gli attacchi del

mondo.

Decise di ritirarsi completamente in se stessa, dedicarsi con zelo

esclusivo all'educazione dei suoi due figli, e curare con tutto il suo

amore materno il dono che Dio le aveva fatto di un terzo. Si preparò a

rimettere in ordine in poche settimane, non appena si fosse rimessa

dal parto, la sua bella casa di campagna, un po' decaduta per la lunga

assenza. Sedeva nel giardino, sotto la pergola, pensando, mentre

lavorava a maglia piccole cuffie e calzette per piccole gambe, a come

avrebbe diviso le stanze, a dove avrebbe sistemato la libreria, e in

quale stanza sarebbe stato meglio il cavalletto. E il giorno in cui il

conte F... avrebbe dovuto fare ritorno da Napoli non era ancora

passato, che già lei si era totalmente abituata al pensiero di vivere

in un perpetuo ritiro monacale. Il portiere ricevette l'ordine di non

far entrare nessuno in casa.

Le era soltanto intollerabile il pensiero che il piccolo essere da lei

concepito nella più grande innocenza e purezza, e la cui origine,

proprio perché più misteriosa, sembrava anche più divina di quella

degli altri uomini, dovesse essere segnato, nella società civile, da

una macchia di vergogna. Uno strano mezzo le era venuto in mente per

scoprire il padre: un mezzo che quando ci pensò per la prima volta, le

fece cadere di mano il lavoro a maglia per lo spavento. Per notti

intere, passate senza chiudere occhio nell'inquietudine, lo rimuginò

nella mente, per abituarsi alla sua strana natura, che offendeva i

suoi più intimi sentimenti. Continuava a rifiutare l'idea di entrare,

con l'uomo che aveva carpito in quel modo la sua buona fede, in un

rapporto qualsiasi, poiché riteneva, molto giustamente, che dovesse

necessariamente far parte, senza remissione, della feccia della sua

specie e che, in qualunque posizione sociale lo si fosse voluto

immaginare, non potesse essere nato che dal fango più calpestato e

immondo. Ma poiché si faceva sempre più vivo in lei il sentimento

della sua autonomia, e lei rifletteva che la gemma conserva il suo

valore in qualunque modo sia incastonata, un mattino in cui la giovane

vita tornava a muoversi dentro di lei prese il coraggio a due mani e

fece inserire nelle gazzette di M... lo strano invito che si è letto

all'inizio di questo racconto.

Il conte di F..., trattenuto a Napoli da incarichi ai quali non poteva

sottrarsi, aveva nel frattempo scritto per la seconda volta alla

marchesa, invitandola, qualsiasi circostanza estranea potesse

sopraggiungere, a restare fedele alla tacita dichiarazione che gli

aveva fatto. Non appena gli riuscì di declinare l'ulteriore viaggio di

servizio a Costantinopoli, e i rimanenti impegni glielo permisero,

egli partì immediatamente da Napoli e arrivò puntualmente a M..., con

pochi giorni di ritardo sul termine fissato. Il comandante lo

ricevette con un'espressione imbarazzata sul viso, gli disse che una

questione urgente lo costringeva ad assentarsi e invitò l'ispettore

forestale a intrattenerlo.

L'ispettore lo portò nella sua stanza e gli chiese, dopo un breve

saluto, se già sapesse quel che era successo, durante la sua assenza,

in casa del comandante. Il conte, per un attimo, si fece pallido, e

rispose di no. L'ispettore lo mise allora al corrente della vergogna

di cui la marchesa aveva ricoperto la famiglia, e gli raccontò tutta

la storia che i nostri lettori conoscono.

Il conte si batté la mano sulla fronte. "Perché mi si opposero tanti

ostacoli!", esclamò, dimentico di se stesso. "Se il matrimonio fosse

avvenuto, ogni vergogna, ogni sventura ci sarebbe stata risparmiata!".

L'ispettore, guardandolo con gli occhi spalancati, gli chiese se fosse

così pazzo da desiderare di essere maritato a quella donna indegna. Il

conte rispose che lei valeva più di tutto il mondo che la disprezzava,

che nella sua dichiarazione di innocenza aveva piena fiducia e che

quel giorno stesso si sarebbe recato a V..., per ripetere davanti a

lei la sua domanda. E immediatamente afferrò il cappello, salutò

l'ispettore, che lo considerava completamente uscito di senno, e se ne

andò.

Balzò su un cavallo e partì al galoppo per V... Quando, sceso di sella

al portone, fece per entrare nel cortile, il custode gli disse che la

signora marchesa non riceveva nessuno. Il conte chiese se quella

disposizione, data per gli estranei, valesse anche per un amico di

famiglia; ma questi rispose di non essere a conoscenza di nessuna

eccezione, e subito dopo aggiunse, con un'espressione ambigua: egli

non era, per caso, il conte F...? Il conte, dopo avergli lanciato

un'occhiata indagatrice, rispose di no e, girandosi verso il proprio

domestico, ma in modo che il portiere potesse sentire, dichiarò che,

in tal caso, sarebbe sceso a una locanda, annunciandosi poi per

iscritto alla signora marchesa.

Ma, non appena uscì dalla vista del custode, girò l'angolo e cominciò

a costeggiare con cautela il muro di un ampio giardino che si stendeva

dietro la casa. Attraverso una porticina, che trovò aperta, entrò nel

giardino, seguì il viottolo fino in fondo, e stava per salire dalla

scala posteriore, quando, sotto una pergola laterale, vide la

marchesa, con la sua dolce e misteriosa figura, seduta a un

tavolinetto e tutta assorbita dal suo lavoro a maglia.

Il conte le si avvicinò, in modo che non potesse vederlo fino a quando

non fosse giunto davanti alla pergola, a tre piccoli passi dai suoi

piedi. "Il conte F...!", disse la marchesa alzando gli occhi, e il

rossore della sorpresa le si diffuse sul viso. Il conte sorrise, e per

un po' rimase in piedi senza muoversi; poi, con indiscrezione tanto

umile quanto era necessario per non spaventarla, si sedette accanto a

lei e, prima ancora che la marchesa, nella singolare circostanza in

cui si trovava, avesse preso una decisione, ne cinse dolcemente con il

braccio il corpo amato.

"Da dove, signor conte... E' mai possibile...", chiese la marchesa,

guardando timidamente a terra davanti a sé. "Da M...", disse il conte,

e la premette contro di sé appena appena; "attraverso una porticina

che ho trovato aperta. Ho creduto di poter contare sul vostro perdono,

e sono entrato".

"E non vi hanno detto a M...?", chiese lei, ancora immobile tra le sue

braccia.

"Tutto, donna adorata", rispose il conte. "Ma pienamente convinto

della vostra innocenza...".

"Come!", gridò la marchesa, balzando in piedi e sciogliendosi da lui.

"E venite lo stesso?".

"A dispetto del mondo", continuò lui, trattenendola, "a dispetto della

vostra famiglia, e perfino a dispetto di questa dolce creatura", e nel

dir così le impresse un ardente bacio sul petto.

"Andate via!", gridò la marchesa.

"Così convinto, Giulietta, come se fossi onnisciente, come se la mia

anima abitasse nel tuo petto...".

"Lasciatemi!", gridò la marchesa.

"Vengo", concluse lui senza lasciarla, "a ripetere la mia domanda, e a

ricevere dalle vostre mani, se vorrete esaudirmi, il paradiso dei

beati".

"Lasciatemi immediatamente!", gridò la marchesa. "Ve lo ordino!". E

strappatasi con forza dalle sue braccia, scappò via.

"Adorata! Meravigliosa creatura!", sussurrò lui, alzandosi e andandole

dietro. "Non avete sentito?", gridò la marchesa; e, girandosi, gli

sfuggì.

"Una parola, una sola, sussurrata in segreto...!", disse il conte,

cercando precipitosamente di afferrare il braccio levigato che

scivolava via.

"Non voglio sapere niente", ribatté la marchesa, lo spinse via con

violenza, con un colpo sul petto, corse su per la scala e sparì.

Egli era già a metà della rampa, deciso a ottenere ascolto a qualunque

costo, quando la porta che aveva davanti sbatté e il catenaccio,

tirato con violenza da una fretta angosciosa, stridette sbarrandogli

il passo. Indeciso, per un momento, su quello che dovesse fare in

quella circostanza, rimase immobile, riflettendo se arrampicarsi da

una finestra laterale, che era rimasta aperta, e perseguire il suo

scopo finché non l'avesse raggiunto; ma, per quanto penoso gli fosse,

da ogni punto di vista, tirarsi indietro, per quella volta la

necessità sembrava richiederlo, e, amaramente indispettito con se

stesso per essersela lasciata sfuggire via dalle braccia, scese

lentamente la scala, uscì dal giardino e andò in cerca dei suoi

cavalli. Sentiva che il tentativo di spiegarsi a tu per tu era fallito

per sempre e, meditando la lettera che era ormai condannato a

scrivere, ripercorse, al passo, tutta la strada fino a M...

La sera, mentre sedeva a tavola in una locanda, nello stato d'animo

più nero che si potesse immaginare, incontrò l'ispettore forestale,

che immediatamente gli chiese se a V... avesse felicemente presentato

la sua domanda. Il conte rispose brevemente: "No", e aveva una gran

voglia di liquidarlo con una frase tagliente; ma, per non essere

troppo scortese, aggiunse, dopo una pausa, che aveva deciso di

rivolgersi a lei per scritto, e in poco tempo tutto sarebbe stato

chiarito. L'ispettore disse di vedere con profondo rammarico come la

passione per la marchesa lo privasse della ragione. Si sentiva,

tuttavia, in dovere di avvertirlo che lei era ormai sul punto di fare

una scelta diversa; suonò, si fece portare i giornali recenti, e gli

porse il foglio in cui la marchesa aveva fatto pubblicare l'annuncio

al padre del suo bambino. Il conte scorse, mentre il sangue gli

affluiva al volto, lo scritto. Un susseguirsi di sentimenti lo

attraversava. L'ispettore gli chiese se credeva che la persona

ricercata dalla signora marchesa si sarebbe trovata.

"Senza dubbio", rispose il conte, chino con tutta l'anima sul

giornale, di cui beveva avidamente il senso.

Poi, dopo essersi avvicinato per un attimo alla finestra, ripiegando

il foglio disse: "Ora è tutto chiaro. Ora so ciò che devo fare". Si

girò di colpo, chiedendo ancora, con studiata cortesia, all'ispettore

forestale se lo si sarebbe potuto rivedere presto, porse i suoi

rispetti e, pienamente riconciliato con il suo destino, si allontanò.

Intanto in casa del comandante erano avvenute le scene più burrascose.

La moglie del colonnello era amareggiata al massimo per la distruttiva

violenza di suo marito e per la debolezza con la quale lei stessa si

era lasciata soggiogare nel tirannico ripudio della figlia. Quando,

nella camera da letto del comandante, era echeggiato lo sparo, e la

figlia ne era uscita a precipizio, lei aveva perso conoscenza. A dire

il vero, si era presto riavuta; ma, nel momento in cui riapriva gli

occhi, il comandante non aveva detto altro se non che gli dispiaceva

che lei si fosse spaventata inutilmente, e aveva gettato sul tavolo la

pistola scarica. Più tardi, quando si parlò di farsi consegnare i

bambini, lei osò dichiarare timidamente che non si aveva diritto di

compiere un passo simile, e pregò, con voce che il recente svenimento

rendeva debole e commovente, di evitare scene violente in casa; ma il

comandante non aggiunse altro se non, girandosi verso l'ispettore

forestale con la bocca schiumante di rabbia: "Vai, e portameli qui!".

Quando era arrivata la seconda lettera del conte F..., il comandante

aveva ordinato di mandarla a V... alla marchesa, la quale, come si

venne poi a sapere dall'incaricato, l'aveva messa da parte dicendo:

"Va bene così".

La moglie del colonnello, per la quale in tutta la vicenda tante cose

erano oscure, e soprattutto la disponibilità della marchesa ad

acconsentire a un nuovo matrimonio, a lei del tutto indifferente,

cercava inutilmente di portare il discorso su questa circostanza. Ma

il comandante la pregava sempre, in un modo che assomigliava a un

ordine, di tacere; e una volta, in una di quelle occasioni, le

assicurò, staccando dalla parete un ritratto della figlia che ancora

vi era appeso, che egli cercava di cancellarla del tutto dalla sua

memoria. "Non ho più una figlia", affermò.

Poco tempo dopo apparve sui giornali lo strano appello della marchesa.

La moglie del colonnello, che ne era stata colpita nel modo più vivo,

andò con il foglio, che aveva ricevuto dal comandante, nella stanza di

lui, lo trovò al suo tavolo che lavorava, e gli chiese che cosa

pensasse di tutto ciò.

"Oh, è innocente", disse il comandante, continuando a scrivere.

"Come?", gridò la signora di G..., al colmo dello sbalordimento.

"Innocente?".

"L'ha fatto nel sonno", disse il comandante, senza alzare gli occhi.

"Nel sonno!", continuò la signora di G... "E un caso così enorme

sarebbe...?".

"Ingenua!", gridò il comandante, ammucchiò le carte e se ne andò.

Il giorno in cui uscì il numero successivo della gazzetta, la moglie

del colonnello, mentre faceva colazione con il marito, lesse in un

foglio che veniva proprio allora dalla stamperia, umido d'inchiostro,

la risposta che segue:

"Se la signora marchesa di O... il giorno 3 di ..., alle undici del

mattino, vorrà trovarsi in casa del signor di G..., suo padre, colui

che ella cerca verrà a gettarsi ai suoi piedi".

Prima ancora di essere arrivata a metà dell'inaudita inserzione, alla

moglie del colonnello venne a mancare la parola; scorse a volo

l'ultima parte e porse il foglio al comandante. Il comandante lo lesse

tre volte da cima a fondo, come se non si fidasse dei propri occhi.

"Lorenzo, dimmi, per l'amor del cielo", gridò la moglie del

colonnello, "che cosa ne pensi?".

"Oh, la svergognata!", rispose il comandante, alzandosi in piedi. "Oh,

la furba, l'ipocrita! Dieci volte la spudoratezza di una cagna e dieci

volte l'astuzia di una volpe non arrivano alla sua! Con quella faccia

compunta! Con quegli occhi! Un cherubino non li ha più fidati!". E si

disperava, senza riuscire a calmarsi.

"Ma in nome del cielo", chiese sua moglie, "se è un'astuzia, quale può

essere il suo scopo?".

"Qual è il suo scopo? Il suo ignobile inganno vuole imporcelo a viva

forza!", rispose il colonnello. "La sanno già a memoria, la favoletta

che quei due, lei e lui, pretendono di darci a bere, alle undici di

mattina del giorno 3. Cara figliola, dovrei dire, non lo sapevo, chi

poteva immaginarlo, perdonami, accetta la mia benedizione e non

avercela con me. Una pallottola a chi entrerà dalla mia porta, la

mattina del giorno 3! O meglio ancora, per la decenza, farlo cacciare

fuori di casa dai domestici!".

La signora di G... disse, dopo aver letto ancora una volta il foglio

di giornale, che se di due cose incomprensibili doveva per forza

crederne una, preferiva credere a un inaudito gioco del destino,

piuttosto che a una simile bassezza da parte di sua figlia, che era

sempre stata una creatura eccellente. Ma ancora prima che finisse di

parlare il comandante gridò di nuovo: "Fammi il piacere di stare

zitta!"». E lasciò la stanza. "Mi è odioso anche soltanto sentirne

parlare".

Pochi giorni dopo, il comandante ricevette, in riferimento

all'annuncio pubblicato sul giornale, una lettera della marchesa,

nella quale lei, poiché le era negata la grazia di metter piede in

casa sua, lo pregava con parole rispettose e toccanti di avere la

compiacenza di inviare da lei a V... la persona che fosse comparsa la

mattina del 3, in casa sua. La moglie del colonnello era presente

quando il comandante ricevette questa lettera; e, poiché gli lesse

chiaramente in viso la confusione dei suoi sentimenti (se, infatti, si

trattava di un inganno, quale scopo poteva ormai attribuirgli, visto

che lei non sembrava avanzare nessuna pretesa al suo perdono?),

prendendo coraggio da quella circostanza, tirò fuori un progetto che

stava meditando già da parecchio tempo, nel suo animo agitato dai

dubbi. Mentre il colonnello continuava a guardare il foglio con

un'espressione dalla quale niente trapelava, disse che le era venuta

un'idea. Voleva darle il permesso di recarsi a V... per un giorno o

due? Se veramente la marchesa conosceva già la persona che le aveva

risposto attraverso i giornali come uno sconosciuto, lei avrebbe

saputo metterla in una situazione tale, da costringerla a tradirsi e a

rivelarsi, anche se fosse stata la più consumata delle traditrici.

Il comandante rispose, mentre, con un movimento improvviso e violento,

strappava la lettera, che sapeva come lui non volesse aver niente a

che fare con lei, e le vietò di avere con la figlia qualsiasi tipo di

contatto. Sigillò in una busta i pezzi strappati, vi scrisse sopra

l'indirizzo della marchesa, e la diede a un corriere per

riconsegnarla, come tutta risposta.

La signora, segretamente amareggiata da quella caparbia ostinazione,

che mandava a monte ogni possibilità di chiarimento, decise allora di

mettere in atto il suo progetto anche contro la volontà del marito.

Prese con sé uno degli attendenti del comandante e il mattino dopo,

quando egli era ancora a letto, partì con lui per V...

Quando arrivò al portone della casa di campagna, il custode le disse

che nessuno poteva entrare dalla signora marchesa. La signora di G...

rispose che era informata di quella disposizione, e tuttavia lo

pregava di andare subito ad annunciare la signora di G... Ma l'uomo

rispose che era inutile, perché la signora marchesa non riceveva

assolutamente nessuno. La signora di G... rispose che lei l'avrebbe

ricevuta, poiché era sua madre: non perdesse altro tempo, e facesse

quello che doveva!

Ma il portiere era appena entrato in casa per fare quel tentativo,

che, diceva, sarebbe stato del tutto inutile, quando si vide la

marchesa uscirne, correre al portone e cadere in ginocchio davanti

alla carrozza della moglie del colonnello. La signora di G... ne

scese, aiutata dall'attendente e, con una certa commozione, fece

alzare da terra la marchesa. La marchesa, sopraffatta dai suoi

sentimenti, si piegò, premette forte contro di sé la mano di lei e la

guidò con deferenza, mentre le sgorgavano abbondanti lacrime, nelle

stanze della casa.

"Mamma mia carissima!»" esclamò, dopo averle indicato il divano, ma

restando ancora in piedi di fronte a lei, e asciugandosi le lacrime.

"A quale caso felice devo la vostra presenza per me inestimabile?".

La signora di G..., prendendo la mano della figlia con confidenza, le

disse che veniva solo per chiederle perdono della durezza con la quale

era stata scacciata dalla casa paterna.

"Perdono!", la interruppe la marchesa, e voleva baciarle la mano. Ma

la madre, impedendo quel gesto, continuò:

"Perché, non soltanto la risposta recentemente pubblicata dalle

gazzette all'appello che sappiamo ha restituito, sia a me che a tuo

padre, la convinzione della tua innocenza, ma devo anche rivelarti che

lui stesso, con nostro grande e lieto stupore, si è presentato ieri in

casa nostra".

"Chi si è...?", domandò la marchesa, sedendosi accanto alla madre.

"Lui stesso chi? Chi si è presentato...?", e l'attesa le contraeva

ogni lineamento del viso.

"Lui", continuò la signora di G..., "l'autore di quella risposta,

proprio lui in persona, l'uomo al quale era rivolto il tuo appello".

"Ma insomma", disse la marchesa, mentre il suo petto ansimava per

l'agitazione, "chi è? Ancora una volta: chi è?".

"Questo", replicò la signora di G..., "vorrei lasciartelo indovinare.

Pensa un po' che ieri, mentre stavamo prendendo il tè e stavamo

appunto leggendo quello strano annuncio sul giornale, una persona che

conosciamo benissimo si precipita con gesti di disperazione, nella

stanza, e si getta ai piedi di tuo padre, e subito dopo ai miei. Noi,

non sapendo che cosa pensare, lo invitiamo a parlare. E allora lui

dice che la sua coscienza non gli dà pace, che è lui l'infame che ha

approfittato della signora marchesa; vuole sapere come verrà giudicato

il suo delitto, e, se dovrà pagarne il fio, viene spontaneamente a

subire il castigo".

"Ma chi? Chi? Chi?", interruppe la marchesa.

"Come ho detto", proseguì la signora di G..., "un giovane altrimenti

ben educato, al quale mai e poi mai avremmo pensato di attribuire una

azione tanto indegna. Ma non devi spaventarti, figlia mia, se verrai a

sapere che è di bassa condizione privo di tutti i requisiti che

altrimenti si richiederebbero all'uomo che deve sposarti".

"Non importa, mia eccellente madre", disse la marchesa; "non può

essere del tutto indegno, dal momento che è andato a gettarsi ai

vostri piedi, prima che ai miei. Ma chi? Chi? Ditemi soltanto: chi?".

"Ebbene", disse la madre, "è Leopardo, l'attendente che tuo padre si è

fatto recentemente assegnare dal Tirolo, e che io, se l'hai visto, ho

già portato qui con me, per presentartelo come sposo".

"Leopardo, l'attendente!", gridò la marchesa, e, con la disperazione

dipinta sul volto, si premette la mano sulla fronte.

"Che cosa ti spaventa?", domandò la moglie del colonnello. "Hai motivi

per dubitarne?".

"Ma come? Dove? Quando?", domandò la marchesa, confusa.

"Questo", rispose lei, "vuole confidarlo soltanto a te. Vergogna e

amore, ha detto, gli hanno reso impossibile rivelarlo ad altri,

all'infuori di te. Ma, se vuoi, apriamo l'anticamera, dove egli, con

il cuore in tumulto, aspetta l'esito di questo colloquio, e vedrai se

riuscirai a fargli rivelare il suo segreto, mentre io mi allontanerò".

"Signore Iddio!", gridò la marchesa. "Un giorno, nell'afa di

mezzogiorno, mi ero assopita, e svegliandomi lo vidi allontanarsi dal

mio divano!". E dicendo questo si coprì con le piccole mani il viso

che avvampava di vergogna.

A queste parole la madre cadde in ginocchio davanti a lei. "Oh, figlia

mia!", gridò. "Oh, figlia eccellente!", e la cingeva con le braccia.

"Oh, io indegna!", e le nascose in grembo il viso.

"Mamma, che avete?", chiese la marchesa, sconvolta.

"Sappi", continuò lei, "sappi, tu, più pura di un angelo, che di tutto

quello che ti ho detto non è vero niente; che la mia anima corrotta

non sapeva credere a un'innocenza come quella che ti splende sul viso,

e ha avuto bisogno di questa astuzia indegna, per convincersene".

"Mamma carissima!", esclamò la marchesa, chinandosi verso di lei piena

di gioiosa commozione, e cercando di alzarla. Ma lei rispose: "No, non

mi muoverò dai tuoi piedi, se prima non mi dirai se puoi perdonare,

tu, meravigliosa, sovrumana creatura, la bassezza del mio

comportamento".

"Io perdonarvi, mamma? Alzatevi", gridò la marchesa, "vi

scongiuro...".

"Hai sentito", continuò la signora di G..., "voglio sapere se puoi

ancora amarmi e rispettarmi sinceramente, come prima".

"Madre mia adorata!", gridò la marchesa, mettendosi a sua volta in

ginocchio davanti a lei. "Rispetto e amore non sono mai venuti meno

nel mio cuore. Chi avrebbe potuto, in circostanze così inaudite, darmi

fiducia? Come sono felice che siate convinta della mia innocenza!".

"Ebbene", rispose la signora di G... alzandosi, sostenuta dalla

figlia, "ti porterò in palmo di mano, figlia mia carissima. Verrai a

partorire da me; e se le cose stessero in modo che aspettassi da te un

principino, non mi occuperei di te con più tenerezza e con più

rispetto. Per quanti giorni mi restano, non mi allontanerò più dal tuo

fianco. Sfiderò il mondo intero. Non voglio altro onore che la tua

vergogna, purché tu mi voglia di nuovo bene, e dimentichi la durezza

con la quale ti scacciai".

La marchesa cercò di consolarla con carezze e giuramenti senza fine;

ma arrivò la sera, e suonò la mezzanotte, prima che ci riuscisse. Il

giorno dopo, placatasi un poco l'emozione dell'anziana signora, che

durante la notte le aveva causato un attacco di febbre, la madre, la

figlia e i nipotini fecero ritorno a M... come in trionfo. Durante il

viaggio erano allegrissime, e scherzavano su Leopardo, l'attendente,

che sedeva davanti, a cassetta; e la madre disse alla marchesa di aver

notato che lei arrossiva ogni volta che l'occhio le cadeva sulle sue

larghe spalle. La marchesa rispose, con un'espressione che era per

metà un sospiro e per metà un sorriso: "Chi sa chi verrà, alla fine, a

presentarsi da noi, alle undici del giorno 3!".

Intanto, man mano che si avvicinavano a M..., gli animi tornavano a

farsi più seri, nel presentimento delle scene decisive che ancora le

aspettavano. La signora di G..., senza lasciar trapelare niente dei

suoi piani, portò la figlia, quando furono smontate, nella sua vecchia

stanza; le disse di cambiarsi e riposarsi, assicurò che sarebbe

tornata subito da lei, e sgusciò via. Un'ora dopo, ritornò con il viso

tutto accaldato.

"Il san Tommaso!", disse, nascondendo la gioia del suo animo.

"Incredulo come san Tommaso! Un'ora d'orologio mi ci è voluta, per

convincerlo. Ma adesso è là seduto, che piange".

"Chi?", domandò la marchesa.

"Lui", rispose la madre. "E chi, se non chi ne ha più ragione di tutti

noi?".

"Non sarà il babbo?", gridò la marchesa.

"Come un bambino", rispose la madre. "Tanto che, se non avessi dovuto

asciugarmi anch'io le lacrime dagli occhi, mi sarei messa a ridere,

appena uscita dalla stanza".

"E per causa mia?", domandò la marchesa, alzandosi. "E dovrei

restare...".

"Non ti muovere!", disse la signora di G... "Perché mi dettò quella

lettera? Dovrà venire a cercarti qui, se vuol ritrovare me, finché

vivo".

"Mamma carissima...", supplicò la marchesa.

"Nessuna pietà!", la interruppe la moglie del colonnello. "Perché

prese in mano la pistola?".

"Ma vi scongiuro...".

"Assolutamente NO", rispose la signora di G..., costringendo la figlia

a sedere di nuovo. "E se non viene oggi, prima di sera, domani mattina

me ne vado via con te".

La marchesa disse che un simile modo di comportarsi era crudele e

ingiusto. Ma la madre rispose: "Calmati!" poiché aveva appena sentito

qualcuno avvicinarsi, da lontano, singhiozzando. "E già qui che

arriva".

"Dove?", domandò la marchesa, e si mise in ascolto. "C'è qualcuno

fuori, davanti alla porta; questi singhiozzi ...?".

"Ma sì", rispose la signora di G... "Vuole che gli apriamo".

"Lasciatemi!", gridò la marchesa; e si strappò dalla sedia.

"No!", disse la moglie del colonnello. "Se mi vuoi bene, Giulietta,

resta dove sei!". In quel momento entrò il comandante, tenendosi il

fazzoletto davanti al viso. La madre si mise di traverso davanti a sua

figlia, e gli girò le spalle.

"Padre mio carissimo!", gridò la marchesa, e tese le braccia verso di

lui.

"Non ti muovere!", disse la signora di G... "Hai sentito!". Il

comandante stava in piedi nella stanza, e piangeva. "Deve chiederti

scusa", continuò la signora di G... "Perché è così violento? Perché è

così testardo? Gli voglio bene, ma ne voglio anche a te; lo rispetto,

ma rispetto anche te. E, se devo scegliere, tu sei migliore di lui, e

resto con te".

Il comandante si curvava sempre di più, e singhiozzava così forte che

le pareti ne risuonavano. "Ma Dio mio!", gridò la marchesa, e cedendo

improvvisamente alla madre prese il fazzoletto, per dare sfogo alle

sue lacrime.

"E' che non può parlare!", disse la signora di G..., e si fece un po'

da parte.

Allora la marchesa si alzò, abbracciò il comandante e lo pregò di

calmarsi. Lei stessa piangeva forte. Gli chiese se non voleva sedersi,

cercò di farlo accomodare su una poltrona e ne spinse una verso di

lui, perché sedesse. Ma egli non rispose. Era impossibile smuoverlo, e

non sedette; restava in piedi dov'era, con il viso profondamente chino

verso terra, e piangeva.

La marchesa, che lo sosteneva, disse, girandosi a metà verso la madre:

"Si ammalerà!". E la madre stessa, di fronte a quell'atteggiamento

convulso, sembrava sul punto di perdere la sua fermezza. Ma quando il

comandante, alla fine, alle ripetute insistenze della figlia, sedette,

e lei gli cadde ai piedi, riempiendolo di carezze, la signora riprese

la parola, disse che ben gli stava, così finalmente avrebbe messo

giudizio, e si allontanò dalla stanza, lasciandoli soli.

Non appena fu uscita, si asciugò lei stessa le lacrime; rifletté se la

violenta commozione che aveva provocato non avrebbe potuto essere

pericolosa per lui, e se non fosse consigliabile far chiamare un

medico. Gli cucinò per la cena tutto quello che di più corroborante e

calmante le riuscì di trovare in dispensa, gli scaldò il letto, per

farlo coricare subito, non appena fosse comparso, al braccio della

figlia, e, poiché ancora non veniva, benché la cena fosse già in

tavola, si avvicinò silenziosamente alla camera della marchesa, per

sentire che cosa stava succedendo.

Accostando pian piano l'orecchio alla porta, sentì un leggero

sussurro, subito spento, che le sembrò venire dalla marchesa; e,

guardando dal buco della serratura, vide che lei stava in braccio al

comandante, cosa che egli prima non aveva mai permesso in vita sua.

Allora, finalmente, aprì la porta, e vide, mentre il cuore le

traboccava di gioia, che la figlia giaceva silenziosa, con il capo

reclinato e gli occhi chiusi, fra le braccia del padre; e lui, seduto

sulla poltrona, con gli occhi dilatati pieni di lacrime luccicanti, le

premeva sulla bocca lunghi, ardenti, avidi baci: proprio come un

innamorato! La figlia non parlava, lui non parlava; stava seduto con

il volto chino sopra di lei, come sulla fanciulla del suo primo amore

e, girando la bocca di lei verso di sé, la baciava.

La madre si sentiva beata: non vista, perché stava in piedi dietro la

sedia del marito, esitava a turbare la gioia della celestiale

riconciliazione discesa sulla sua casa. Alla fine si avvicinò al padre

e, proprio mentre lui ricominciava ad accarezzare con gioia

indicibile, con le dita e con le labbra, la bocca della figlia, lo

guardò di lato, curvandosi sopra la poltrona. Il comandante, quando la

vide, abbassò di nuovo il viso, corrugando la fronte, e voleva dire

qualcosa; ma lei esclamò: "Via, che viso mi fai?", glielo spianò, a

sua volta, con un bacio, e scherzando mise fine alla commozione. Poi

invitò e guidò tutti e due, che camminavano come due sposini, a cena,

durante la quale il comandante fu sì molto allegro, ma singhiozzò

ancora, di tanto in tanto, mangiò e parlò poco, e tenne gli occhi

bassi sul piatto, giocando con la mano della figlia.

Allo spuntare del giorno seguente ci si fece la domanda su chi mai si

sarebbe presentato, l'indomani, alle undici del mattino. Perché

l'indomani era il temuto 3. Il padre, la madre e il fratello, che era

venuto anche lui a riconciliarsi, si pronunciarono senz'altro, purché

la persona fosse appena tollerabile, per il matrimonio; doveva essere

fatto tutto il possibile per rendere felice la situazione della

marchesa. Ma, se le condizioni di quell'uomo fossero state tali da

restare, anche dopo ogni aiuto e facilitazione, troppo inferiori a

quelle della marchesa, i genitori erano contrari alle nozze, e erano

decisi a continuare a tenere con sé la marchesa, adottando il bambino.

La marchesa, invece, sembrava incline a tener fede in qualunque caso,

purché quell'uomo non fosse uno scellerato, alla parola data, per

dare, costasse quello che costasse, un padre al bambino.

Verso sera la madre chiese come ci si sarebbe dovuti comportare nel

riceverlo. Il comandante disse che la cosa più opportuna sarebbe

stata, l'indomani alle undici, lasciare la marchesa da sola. La

marchesa insisteva, invece, perché entrambi i genitori, e anche il

fratello, fossero presenti, poiché non voleva dividere con quell'uomo

nessun segreto. E aggiunse che un simile desiderio le sembrava

espresso persino nella risposta di lui, dal momento che aveva proposto

la casa del comandante come luogo dell'incontro. Proprio a causa di

quel particolare, per sincerità doveva ammetterlo, la risposta le era

assai piaciuta. La madre osservò quanto fosse imbarazzante la parte

che il padre e il fratello avrebbero dovuto sostenere, e pregò la

figlia di consentire che gli uomini si tenessero da parte; lei,

invece, avrebbe obbedito al suo desiderio, e sarebbe stata presente al

momento dell'arrivo. Dopo qualche attimo di riflessione della

marchesa, quest'ultima proposta fu infine accettata.

E venne, dopo una notte trascorsa nelle ansie dell'attesa, la mattina

del temuto 3. Quando la pendola suonò le undici, le due donne

sedevano, vestite a festa, come per un fidanzamento nella stanza delle

visite, con il cuore che batteva così forte che lo si sarebbe sentito,

se fossero ammutoliti i rumori del giorno. L'undicesimo rintocco

vibrava ancora, quando entrò Leopardo, l'attendente che il padre aveva

fatto venire dal Tirolo. A quella vista le due donne sbiancarono.

"Il conte F...", disse, "è arrivato, e si fa annunciare".

"Il conte F... !", esclamarono le due donne all'unisono, colpite, dopo

il primo, da un nuovo e diverso sgomento.

"Chiudete le porte!", gridò la marchesa. "Per lui non siamo in casa".

Si alzò, per chiudere subito lei stessa la porta a chiave, e stava per

spingere fuori l'attendente, che le sbarrava la via, quando il conte,

nella stessa uniforme da battaglia, con gli ordini e le decorazioni,

che aveva indossato durante l'assalto alla fortezza, entrò e venne

verso di lei. La marchesa credette di sprofondare per la vergogna;

afferrò uno scialle, che aveva lasciato sulla sedia, e si mosse per

fuggire in una stanza laterale. Ma la signora di G..., afferrandole la

mano, gridò: "Giulietta!", e la parola, come soffocata dai pensieri,

le mancò. Fissò intensamente il conte, e ripeté: "Ti prego,

Giulietta!", tirandola verso di sé. "Chi aspettiamo dunque?".

"Che?", gridò la marchesa, girandosi di colpo. "Non lui...", e gli

gettò uno sguardo fiammeggiante come la folgore, mentre un pallore

mortale le sbiancava il viso.

Il conte aveva piegato un ginocchio davanti a lei; con la mano destra

appoggiata sul cuore, e il capo leggermente chino sul petto, guardava

per terra davanti a sé, con il viso acceso, e taceva.

"E chi altri?", esclamò la moglie del colonnello, con voce soffocata.

"Chi altri, dissennate che siamo, se non lui...".

"Mamma, io impazzisco!", disse la marchesa rigida, in piedi, al di

sopra di lui.

"Sciocchina", rispose la madre, l'attirò a sé e le sussurrò qualcosa

all'orecchio. La marchesa si voltò e cadde, con le mani davanti al

viso, sul divano.

"Infelice, che hai?", gridò la madre. "Che cosa è successo, a cui tu

non fossi preparata?".

Il conte non si staccava dal fianco della moglie del colonnello.

Afferrò, sempre con un ginocchio a terra, l'orlo estremo della sua

veste, e lo baciò. "Cara, misericordiosa, venerata", mormorò; una

lacrima gli scese lungo le guance.

"Alzatevi, signor conte, alzatevi!", disse la moglie del colonnello.

"Andate a consolarla. Allora saremo tutti riconciliati, e tutto sarà

perdonato e dimenticato".

Il conte si alzò piangendo. Si inginocchiò di nuovo davanti alla

marchesa, le prese delicatamente la mano, come se fosse d'oro, e il

contatto con la sua potesse macchiarla. Ma lei gridò: "Andatevene!

Andatevene! Andatevene!", alzandosi in piedi. "Ero disposta ad

affrontare uno scellerato, ma non un... demonio!". E, spostandosi da

lui come da un appestato, aprì la porta della stanza dicendo:

"Chiamate il colonnello!".

"Giulietta!", gridò la moglie del colonnello con stupore. La marchesa

lanciava occhiate selvagge, feroci, ora al conte, ora alla madre, il

petto ansimante, il volto in fiamme; non è più terribile l'occhio di

una Furia. Arrivarono il colonnello e l'ispettore forestale.

"Quest'uomo, padre mio", disse la marchesa, mentre erano ancora sulla

soglia, "non lo posso sposare!". Immersa la mano in un'acquasantiera

infissa al lato interno della porta, spruzzò con un gran getto, il

padre, la madre e il fratello, e scomparve.

Il comandante, scosso dall'insolita scena, chiese cosa fosse successo,

e impallidì quando, in quel momento cruciale, vide nella stanza il

conte F... La madre prese il conte per la mano e disse: "Non

domandare. Questo giovane è pentito con tutto il cuore di ciò che è

avvenuto. Dagli la tua benedizione. Su, dagliela! E tutto finirà

bene".

Il conte stava in piedi, come annientato. Il comandante gli pose la

mano sul capo; le ciglia gli tremavano, le sue labbra erano bianche

come gesso. "Possa la maledizione del cielo risparmiare questo capo!",

esclamò. "Quando pensate di sposare?".

"Domani", rispose la madre per lui, poiché egli non era in grado di

proferire parola. "Domani; oppure oggi, come vorrai. Al signor conte,

che ha mostrato tanto nobile zelo nel riparare il fallo commesso,

l'ora più vicina sarà sempre la più gradita".

"Allora avrò il piacere di incontrarvi domani alle undici, nella

chiesa degli Agostiniani», disse il comandante; si inchinò, chiamò a

sé la moglie e il figlio, per andare nella camera della marchesa, e lo

lasciò là in piedi.

Inutilmente ci si sforzò di sapere dalla marchesa le ragioni del suo

strano comportamento; era coricata, in preda a una violenta febbre,

non voleva saperne di matrimonio, e pregava di essere lasciata sola.

Quando le chiesero perché avesse improvvisamente cambiato la sua

decisione, e che cosa le rendesse il conte più odioso di altri, guardò

il padre con grandi occhi distratti e non rispose. La moglie del

colonnello le disse se aveva dimenticato di essere madre; ma lei

rispose che in quel caso doveva pensare più a sé che al suo bambino, e

ancora una volta, invocando tutti gli angeli e i santi a testimoni,

giurò che non si sarebbe sposata. Il padre, vedendola in uno stato

d'animo di palese sovraeccitazione, dichiarò che doveva tener fede

alla parola data; la lasciò e preparò ogni cosa, dopo aver preso per

iscritto i dovuti accordi con il conte, per le nozze.

Propose al conte un contratto di matrimonio nel quale questi

rinunciava a tutti i diritti di consorte, mentre si impegnava a

osservare tutti gli obblighi che gli venissero richiesti. Il conte

rinviò il foglio, tutto bagnato di lacrime, con la propria firma.

Quando il comandante, il mattino seguente, diede il documento alla

marchesa, l'animo di lei si era un po' calmato. Lo lesse tutto, seduta

sul letto, più volte, lo ripiegò pensierosa, lo aprì, e lo lesse di

nuovo tutto ancora una volta; poi dichiarò che alle undici si sarebbe

trovata nella chiesa degli Agostiniani. Si alzò si vestì, senza dire

una parola, salì, quando venne l'ora, nella carrozza con i suoi, e

uscì di casa.

Solo al portale della chiesa fu permesso al conte di unirsi alla

famiglia. La marchesa, durante il rito, tenne gli occhi fissi

sull'immagine all'altare, senza gettare neppure uno sguardo fuggevole

all'uomo con il quale scambiava gli anelli. Il conte compiuta la

cerimonia, le offrì il braccio; ma, non appena furono usciti dalla

chiesa, la contessa lo salutò con un inchino; il comandante chiese se

avrebbe avuto l'onore di vederlo, di tanto in tanto, nell'appartamento

di sua figlia; il conte balbettò qualcosa che nessuno sentì, si levò

il cappello davanti alla compagnia, e scomparve.

Prese un appartamento a M..., e vi passò parecchi mesi senza mettere

neppure il piede nella casa del comandante, nella quale era rimasta la

contessa. Solo grazie al contegno delicato, dignitoso e del tutto

irreprensibile da lui tenuto ogni volta che venne a contatto con la

famiglia, per qualsiasi ragione, dopo che la contessa ebbe dato alla

luce un figlioletto egli fu invitato al battesimo. La contessa, seduta

sul letto puerperale, avvolta nelle coperte, non lo vide che per un

attimo, quando si mostrò nel vano della porta, e la salutò con

deferenza da lontano. Fra i doni con i quali gli ospiti diedero il

benvenuto al neonato egli lasciò cadere nella culla due documenti, uno

dei quali, come si vide quando se ne fu andato, era una donazione di

ventimila rubli al fanciullo, e l'altro un testamento con il quale

egli, in caso di morte, istituiva la madre erede universale del suo

patrimonio.

Da quel giorno, per iniziativa della signora di G..., venne invitato

più spesso; la casa gli fu aperta, e presto non passò sera senza che

egli vi comparisse. Ricominciò da capo, quando il suo sentimento gli

disse che da parte di tutti, grazie al fragile assetto del mondo, gli

era stato perdonato, il suo corteggiamento della contessa, sua

consorte, e ottenne da lei, trascorso un anno, un secondo sì; si

celebrò così un secondo sposalizio più felice del primo, dopo il quale

tutta la famiglia si trasferì a V...

Al primo seguì poi tutta una schiera di piccoli russi; e quando il

conte, in un'ora felice, chiese una volta alla moglie perché, in quel

terribile giorno 3, quando sembrava disposta ad affrontare qualunque

scellerato, fosse fuggita da lui come da un demonio, lei rispose,

gettandogli le braccia al collo, che non le sarebbe sembrato allora un

demonio, se la prima volta che lo vide non le fosse apparso come un

angel